Viaggio nell'Inferno di Dante
Federico Severino (primavera 1999-2001, formelle in bronzo policromo, cm 50x50)
Dante si smarrisce nella selva oscura, è assalito da tre fiere,
ma viene salvato da Virgilio. Inizia il viaggio.
Canto I
"Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!"
(1/6)
... "ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test' alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l'aere ne tremesse" (44/48)
Dante dubita delle proprie forze. Virgilio lo rincuora:
tre donne "benedette" hanno pietà di lui e lo proteggono.
Canto II
"Dunque: che è? perché, perché restai,
perché tanta viltà nel core allette,
perché ardire e franchezza non hai,
poscia che tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
e 'l mio parlar tanto ben ti promette?"
(121/126)
Dante supera la porta dell'Inferno. Nell'Antiinferno incontra
gli ignavi e attraversa l'Acheronte sulla barca di Caronte.
Canto III
"Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: «Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo" (82/87)
Nel primo cerchio, il Limbo, Dante incontra grandi poeti
e "spiriti magni".
Canto IV
"Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire:
quelli è Omero poeta sovrano;
l'altro è Orazio satiro che vene;
Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano" (86/90)
Nel secondo cerchio Minosse giudica i dannati. Virgilio mostra
a Dante
un gruppo di lussuriosi. Francesca da Rimini
racconta la sua storia.
Canto V
"Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere, dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov' è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettüoso grido."
(82/87)
"Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona." (100/106)
Terzo cerchio: i golosi sono immersi nel fango e dilaniati da Cerbero.
Dante ascolta le predizioni di Ciacco su Firenze.
Canto VI
"Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e 'l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.
Urlar li fa la pioggia come cani;"... (13/19)
Nel quarto cerchio dopo le parole minacciose di Pluto, Dante incontra
gli avari e i prodighi che sospingono con il petto massi enormi.
Nel quinto cerchio gli iracondi e gli accidiosi sono immersi nella
palude stigia dove si percuotono.
Canto VII
"Qui vid' i' gente più ch'altrove troppa,
e d'una parte e d'altra, con grand' urli,
voltando pesi per forza di poppa.
Percotëansi 'ncontro; e poscia pur lì
si rivolgea ciascun, voltando a retro,
gridando: 'Perché tieni?' e 'Perché burli?' " (25/30)
Dante attraversa la palude stigia. Filippo Argenti tenta di rovesciare
la barca. Appare la città di Dite, ma mille diavoli si oppongono
al suo ingresso.
Canto VIII
"Io vidi più di mille in su le porte
da ciel piovuti, che stizzosamente
dicean: «Chi è costui che sanza morte
va per lo regno de la morta gente?».
E 'l savio mio maestro fece segno
di voler lor parlar segretamente.
Allor chiusero un poco il gran disdegno
e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada
che sì ardito intrò per questo regno.
Sol si ritorni per la folle strada:
pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai,
che li ha' iscorta sì buia contrada»" (82/93)
Anche tre furie infernali si oppongono a Dante, ma alla fine
un Angelo apre le porte della città di Dite. Dante è nel sesto cerchio
dove gli eretici giacciono in sepolcri infuocati.
Canto IX
"... l'occhio m'avea tutto tratto
ver' l'alta torre a la cima rovente,
dove in un punto furon dritte ratto
tre furïe infernal di sangue tinte,
che membra feminine avieno e atto,
e con idre verdissime eran cinte;
serpentelli e ceraste avien per crine,
onde le fiere tempie erano avvinte." (35/42)
Lungo, appassionato dibattito tra Dante e Farinata degli Uberti,
capo dei ghibellini fiorentini dal 1239 al 1264.
Canto X
"«O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patrïa natio,
a la qual forse fui troppo molesto».
Subitamente questo suono uscìo
d'una de l'arche; però m'accostai,
temendo, un poco più al duca mio.
Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s'è dritto:
da la cintola in sù tutto 'l vedrai»" (22/33)
Virgilio, dietro il sepolcro di Anastasio II, spiega a Dante come sono distribuiti i dannati nei cerchi inferiori.
Canto XI
"In su l'estremità d'un'alta ripa
che facevan gran pietre rotte in cerchio,
venimmo sopra più crudele stipa;
e quivi, per l'orribile soperchio
del puzzo che 'l profondo abisso gitta,
ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio
d'un grand' avello, ov' io vidi una scritta
che dicea: `Anastasio papa guardo,
lo qual trasse Fotin de la via dritta'." (1/9)
Discesa difficoltosa verso il primo girone del settimo cerchio. Dante e Virgilio vanno lungo il Flegetonte scortati dal centauro Nesso. Nel fiume di sangue bollente sono immersi tiranni, omicidi e ladri.
Canto XII
"Io vidi un'ampia fossa in arco torta,
come quella che tutto 'l piano abbraccia,
secondo ch'avea detto la mia scorta;
e tra 'l piè de la ripa ed essa, in traccia
corrien centauri, armati di saette,
come solien nel mondo andare a caccia."
(52/57)
... "«Quelli è Nesso,
che morì per la bella Deianira,
e fé di sé la vendetta elli stesso.
E quel di mezzo, ch'al petto si mira,
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;" (67/71)
Nel secondo girone del settimo cerchio Dante entra nella selva
dei suicidi ed incontra Pier della Vigna.
Canto XIII
"Allor porsi la mano un poco avante
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e 'l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb' esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi»." (31/39)
Nel terzo girone i dannati stanno in un grande sabbione
e sono colpiti da una pioggia di fuoco.
Canto XIV
"D'anime nude vidi molte gregge
che piangean tutte assai miseramente,
e parea posta lor diversa legge.
Supin giacea in terra alcuna gente,
alcuna si sedea tutta raccolta,
e altra andava continüamente.
Quella che giva 'ntorno era più molta,
e quella men che giacëa al tormento,
ma più al duolo avea la lingua sciolta.
Sovra tutto 'l sabbion, d'un cader lento,
piovean di foco dilatate falde,
come di neve in alpe sanza vento." (19/30)
Nella schiera dei sodomiti Dante riconosce il suo maestro
Brunetto Latini. Lungo e affettuoso colloquio tra i due.
Canto XV
... "fui conosciuto da un, che mi prese
per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!».
E io, quando 'l suo braccio a me distese,
ficcaï li occhi per lo cotto aspetto,
sì che 'l viso abbrusciato non difese
la conoscenza süa al mio 'ntelletto;
e chinando la mano a la sua faccia,
rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?»" (22/30)
Tre anime parlano con Dante, poi il cammino riprende fino all'orlo
di una ripa scoscesa dove Virgilio chiama in soccorso Gerione.
Canto XVI
"... tre ombre insieme si partiro,
correndo, d'una torma che passava
sotto la pioggia de l'aspro martiro.
Venian ver' noi, e ciascuna gridava:
«Sòstati tu ch'a l'abito ne sembri
esser alcun di nostra terra prava».
Ahimè, che piaghe vidi ne' lor membri,
ricenti e vecchie, da le fiamme incese!" (4/11)
Dante e Virgilio salgono in groppa a Gerione e scendono fino
al fondo della ripa.
Canto XVII
"Trova' il duca mio ch'era salito
già su la groppa del fiero animale,
e disse a me: «Or sie forte e ardito.
Omai si scende per sì fatte scale;
monta dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo,
sì che la coda non possa far male»" (79/84)
L'ottavo cerchio è diviso in dieci "Malebolge". Nelle prime due Dante
incontra ruffiani, seduttori e adulatori. Il personaggio più interessante
è la prostituta Taide.
Canto XVIII
"Luogo è in inferno detto Malebolge,
tutto di pietra di color ferrigno,
come la cerchia che dintorno il volge"
(1/3)
"Di qua, di là, su per lo sasso tetro
vidi demon cornuti con gran ferze,
che li battien crudelmente di retro.
Ahi come facean lor levar le berze
a le prime percosse! già nessuno
le seconde aspettava né le terze." (34/39)
"Taïde è, la puttana che rispuose
al drudo suo quando disse ' Ho io grazie
grandi apo te?': 'Anzi maravigliose!' " (133/135)
Nella terza bolgia Dante incontra i simoniaci, sprofondati in buche
di pietra e parla con papa Niccolò III.
Canto XIX
"«O qual che se' che 'l di sù tien di sotto,
anima trista come pal commessa»,
comincia' io a dir, «se puoi, fa motto».
Io stava come 'l frate che confessa
lo perfido assessin, che, poi ch'è fitto,
richiama lui per che la morte cessa.
Ed el gridò: «Se' tu già costì ritto,
se' tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto." (46/54)
Nella quarta bolgia ecco gli indovini che hanno il viso sopra la schiena
anziché sopra il petto.
Canto XX
"e vidi gente per lo vallon tondo
venir, tacendo e lagrimando, al passo
che fanno le letane in questo mondo.
Come 'l viso mi scese in lor più basso,
mirabilmente apparve esser travolto
ciascun tra 'l mento e 'l principio del casso, ..." (7/12)
Nella quinta bolgia la fanno da padroni i diavoli che straziano
i truffatori immersi nella pece bollente.
Canto XXI
"... e vidi dietro a noi un diavol nero
correndo su per lo scoglio venire.
Ahi quant' elli era ne l'aspetto fero!
e quanto mi parea ne l'atto acerbo,
con l'ali aperte e sovra i piè leggero!
L'omero suo, ch'era aguto e superbo,
carcava un peccator con ambo l'anche,
e quei tenea de' piè ghermito 'l nerbo." (29/36)
Sempre nella quinta bolgia tra zuffe di diavoli
e inganni di dannati.
Canto XXII
"E Libicocco «Troppo avem sofferto»,
disse; e preseli 'l braccio col runciglio,
sì che, stracciando, ne portò un lacerto.
Draghignazzo anco i volle dar di piglio
giuso a le gambe; onde 'l decurio loro
si volse intorno intorno con mal piglio." (70/75)
Si scende nella sesta bolgia dove gli ipocriti camminano lentissimamente,
gravati da cappe di piombo dorate all'esterno.
Canto XXIII
"Là giù trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca e vinta.
Elli avean cappe con cappucci bassi
dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
che in Clugnì per li monaci fassi." (58/63)
Nella settima bolgia sono rinchiusi ladri e serpenti: spesso i ladri
si trasformano in serpenti e viceversa.
Canto XXIV
"Noi discendemmo il ponte da la testa
dove s'aggiugne con l'ottava ripa,
e poi mi fu la bolgia manifesta:
e vidivi entro terribile stipa
di serpenti, e di sì diversa mena
che la memoria il sangue ancor mi scipa."
(79/84)
"Tra questa cruda e tristissima copia
corrëan genti nude e spaventate,
sanza sperar pertugio o elitropia:
con serpi le man dietro avean legate;
quelle ficcavan per le ren la coda
e 'l capo, ed eran dinanzi aggroppate." (91/96)
Ancora nella settima bolgia, ancora trasformazioni.
Canto XXV
"Com' io teneva levate in lor le ciglia,
e un serpente con sei piè si lancia
dinanzi a l'uno, e tutto a lui s'appiglia.
Co' piè di mezzo li avvinse la pancia
e con li anterïor le braccia prese;
poi li addentò e l'una e l'altra guancia;" (49/54)
Nell'ottava bolgia Dante incontra i consiglieri fraudolenti.
Ulisse racconta le vicende del suo ultimo viaggio.
Canto XXVI
"e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,"
(124/126)
"... quando n'apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé girar con tutte l'acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com' altrui piacque,
infin che 'l mar fu sovra noi richiuso»" (133/142)
Dante parla con Guido da Montefeltro delle condizioni politiche
della Romagna. Guido è finito nell'Inferno perché il diavolo
ha avuto la meglio su San Francesco.
Canto XXVII
"Francesco venne poi, com' io fu' morto,
per me; ma un d'i neri cherubini
li disse: ``Non portar: non mi far torto.
Venir se ne dee giù tra ' miei meschini
perché diede 'l consiglio frodolente,
dal quale in qua stato li sono a' crini;
ch'assolver non si può chi non si pente,
né pentere e volere insieme puossi
per la contradizion che nol consente" (112/120)
Nella nona bolgia Dante passa in mezzo ai seminatori di discordia,
orribilmente mutilati da un diavolo. Tra i dannati: Maometto
e Bertran de Born.
Canto XXVIII
"Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
E tutti li altri che tu vedi qui,
seminator di scandalo e di scisma
fuor vivi, e però son fessi così.
Un diavolo è qua dietro che n'accisma
sì crudelmente, al taglio de la spada
rimettendo ciascun di questa risma,
quand' avem volta la dolente strada;
però che le ferite son richiuse
prima ch'altri dinanzi li rivada." (32/42)
Nella decima bolgia stanno i falsari colpiti da malattie orribili
come la lebbra, la rabbia e l'idropisia.
Canto XXIX
"Io vidi due sedere a sé poggiati,
com' a scaldar si poggia tegghia a tegghia,
dal capo al piè di schianze macolati;
e non vidi già mai menare stregghia
a ragazzo aspettato dal segnorso,
né a colui che mal volontier vegghia,
come ciascun menava spesso il morso
de l'unghie sopra sé per la gran rabbia
del pizzicor, che non ha più soccorso;
e sì traevan giù l'unghie la scabbia,
come coltel di scardova le scaglie
o d'altro pesce che più larghe l'abbia." (73/84)
Dante osserva i rabbiosi, gli idropici e coloro che sono
tormentati
dalla febbre.
Canto XXX
"E l'un di lor, che si recò a noia
forse d'esser nomato sì oscuro,
col pugno li percosse l'epa croia.
Quella sonò come fosse un tamburo;
e mastro Adamo li percosse il volto
col braccio suo, che non parve men duro,
dicendo a lui: «Ancor che mi sia tolto
lo muover per le membra che son gravi,
ho io il braccio a tal mestiere sciolto»" (100/108)
Dante e Virgilio si dirigono verso il Pozzo dei Giganti.
Anteo li depone nel nono cerchio.
Canto XXXI
"... e quelli in fretta
le man distese, e prese 'l duca mio,
ond' Ercule sentì già grande stretta.
Virgilio, quando prender si sentio,
disse a me: «Fatti qua, sì ch'io ti prenda»;
poi fece sì ch'un fascio era elli e io." (130/135)
Nella prima e seconda zona del nono cerchio ci sono i traditori
dei parenti e della patria, immersi nel ghiaccio.
Dante riesce
a parlare con qualcuno di loro.
Canto XXXII
"Allor lo presi per la cuticagna
e dissi: «El converrà che tu ti nomi,
o che capel qui sù non ti rimagna».
Ond' elli a me: «Perché tu mi dischiomi,
né ti dirò ch'io sia, né mosterrolti,
se mille fiate in sul capo mi tomi»" (97/102)
Nella seconda zona Dante incontra il pisano conte Ugolino che
racconta la morte terribile sua e dei suoi figli e nipoti.
Dante lancia un'invettiva contro Pisa.
Canto XXXIII
"Poscia che fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a' piedi,
dicendo: ``Padre mio, ché non m'aiuti?".
Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid' io cascar li tre ad uno ad uno
tra 'l quinto dì e 'l sesto; ond' io mi diedi,
già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno»" (67/75)
Nella quarta e ultima zona del nono cerchio domina la figura
di Lucifero, l'angelo ribelle, che maciulla i dannati con le sue tre bocche.
Dante e Virgilio raggiungono l'uscita dell'Inferno.
Canto XXXIV
"Lo 'mperador del doloroso regno
da mezzo 'l petto uscia fuor de la ghiaccia; ... "
(28/29)
"Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand' io vidi tre facce a la sua testa!
L'una dinanzi, e quella era vermiglia;
l'altr' eran due, che s'aggiugnieno a questa
sovresso 'l mezzo di ciascuna spalla,
e sé giugnieno al loco de la cresta:
e la destra parea tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
vegnon di là onde 'l Nilo s'avvalla.
Sotto ciascuna uscivan due grand' ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid' io mai cotali." (37/48)
L’opera è un chiaro omaggio, ma non solo, di un artista contemporaneo ad un testo letterario quale l’Inferno dantesco. In essa infatti c’è «ammirazione per la forza del racconto plastico capace di scolpire immagini immortali e pensieri forti nel codice poetico della modernità. Ma ciò che maggiormente attrae Severino è l’eterna attualità filosofica di quell’archetipo: l’inferno, l’abisso che ha alimentato miti su miti e, con essi, il pensiero contemporaneo. Severino si è concesso una propria personale “stagione dell’inferno”, lavorando per oltre un anno all’alchimia di fuoco e materia da cui sono poi scaturiti questi singolari sviluppi e viluppi figurali, patinati e policromati per ossidazione a caldo in una gamma davvero infernale, antinaturalistica, di blu, di viola, di gialli, di rossi. Un impegno squisitamente artigianale, manuale, diuturno, speso in quel luogo di fiamma
e di sudore così prossimo all’inferno che è la fonderia; un lavoro che ha dato nuova e autonoma vita fantastica alla narrazione dell’Alighieri…». (Dal Catalogo della Mostra: Federico Severino, Viaggio nell’Inferno di Dante, Monza 2005, testo critico
a cura di Domenico Montalto, pag. 7).
L'opera è stata acquistata dalla Fondazione